PIRATA E SIRENA
Alcuni anni fa, c’era una torre all’estremità del Capo Marabata; i cristiani la chiamavano Torre Blanquilla (torre bianca) e dai maomettani era conosciuta come El Minar. Tutto il giorno la torre guardava verso il mare; la notte, il mormorio del vento sull’acqua la cullava nel sonno. Era un’antica torre le cui mura erano coperte di tralci nodosi; scorpioni si nascondevano tra le sue pietre e i jinn malefici si radunavano là vicino al cader del sole. Gli zingari, che sanno tutte le cose, dicevano che la torre era stata costruita dai portoghesi, arrivati fin là per combattere i maomettani. I montanari di Andjera sono meglio informati; dicono che la torre fu costruita da Lass el-Behar, il pirata, per nascondere i suoi tesori tra le mura.
Lass el-Behar proveniva da Rabat. Era un abile navigatore ed esperto in un arte ancora più difficile: quella di comandare gli uomini. Gli spagnoli e gli italiani conoscevano fin troppo bene il suo nome. La fregata di el-Behar era agile e leggera come una rondine; un centinaio di rematori schiavi cristiani la facevano volare sopra le onde. La nave era grandemente temuta a causa del coraggio dei suoi marinai e dei suoi molti cannoni, uno diverso dall’altro, che il pirata aveva catturato da vascelli cristiani di varia nazionalità.
Lass el-Behar era giovane, bello e coraggioso. Molte prigioniere cristiane s’innamoravano perdutamente di lui, come pure tutte le figlie di maomettani ricchi e potenti. Ma ripudiava alla stessa maniera l’amore dei cristiani come quello dei mussulmani, perché per lui la sua nave significava più della bellezza delle donne. Amava la sua nave, la compagnia dei suoi prodi guerrieri e le battaglie gloriose, che sarebbero poi state celebrate in canzoni e poemi. Ma era il mare che amava sopra ogni altra cosa; lo amava con una passione così profonda da non potergli vivere lontano, e gli parlava come altri parlano alle proprie amanti. I suoi guerrieri narravano che all’ora della preghiera allontanava lo sguardo dalla Mecca per poter rimirare il mare.
Il giorno dell’Aid el-Kbir (sacrificio delle pecore), Lass el-Behar, che si trovava nel villaggio di El-Minar con i suoi compagni d’arme, rifiutò di recarsi a Tangeri per ascoltare il sermone del cadì e pregare in compagnia dei devoti. “Andate se dovete”, disse ai suoi uomini. “Quanto a me rimango a riposare qui.”
Si rinchiuse nella sua torre; da lì poteva contemplare il mare e le navi mentre si muovevano lentamente all’orizzonte. Il charqui, più brezza che vento, faceva danzare l’acqua sotto la calda luce estiva.
“Il migliore sermone del cadì “, pensò el-Behar, “non potrebbe mai uguagliare la bellezza di questa scena. Quale preghiera, per quanto perfetta, potrebbe rivaleggiare col dolce mormorio delle acque increspate? Che c’è di più potente sulla terra, del mare che si estende da una riva all’altra del mondo? Oh, fossero le onde una donna da sposare e l’oceano una moschea nella quale poter pregare.”
Quando il vento si acquietò e il mare smise di muggire come mille buoi, Lass el-Behar discese dalla torre. Sulla stretta striscia di sabbia che si allungava tra le rocce e l’acqua, vide una donna sdraiata, bianca e fredda. Si avvicinò: “Deve essere una cristiana,” si disse, “perché i suoi capelli hanno il colore dell’oro nuovo”.
La sollevò e la prese tra le braccia.
“Forse è ancora viva.”
La donna aprì gli occhi; erano verdi, verdi come le alghe che crescono nelle fenditure delle rocce. Era una babria, un jinniyeh, un genio femminile del mare. La sua bellezza era magica ed el-Behar s’innamorò follemente di lei. Trascurò i suoi guerrieri per amor suo; dimenticò la veloce galea, la sua gloria, addirittura le sue preghiere ad Allah.
“Ti amo più d’ogni altra cosa al mondo,” le disse una volta, “più della mia vita e della mia salvezza.”
Durante l’equinozio, il mare furioso martellò nuovamente la torre e minacciò il villaggio vicino. Le sue acque si mischiarono con quelle del fiume Charf e raggiunsero anche i gradini di Tanger el-Balia.
“L’oceano distruggerà anche la nostra torre,” disse il pirata alla sua adorata, “fuggiamo verso le montagne”.
“Perché temere l’oceano?” chiese la babria con un sorriso. “Non lo ami sopra ogni altra cosa? Forse non glorifichi sempre la sua forza e la sua potenza? Non giri la testa dalla direzione della Mecca per poterlo guardare? Sono una figlia del mare. Sono venuta per ricompensarti dell’amore che gli porti. Ora il mare mi chiama a sé. Addio, Lass el-Behar, non mi vedrai mai più.”
“Non lasciarmi,” implorò il pirata, “non lasciarmi, ti supplico. Senza di te, non conoscerei più la felicità.”
“La felicità,” rispose la babria “appartiene solo a chi onora e teme Allah. Devo lasciarti. Non oso disobbedire alla voce che mi chiama, ma puoi seguirmi se lo desideri.”
La jinniyeh svanì con la marea e Lass el-Behar la seguì nelle buie profondità del mare. Neppure lui venne mai più rivisto. Dorme sotto le onde tra la montagna di Tarik (Gibilterra) e il Capo Tres Forcas. Non si sveglierà fino al giorno in cui gli uomini saranno giudicati per le loro azioni e la terrà sarà l’ombra di un ombra che infine scomparirà.
Perché Allah è l’Onnipotente.
Le repubbliche dei pirati Hakim Bey
Beauduc 2011